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Chi siamo

Il prolungarsi nel tempo di esperienze teatrali nelle carceri italiane di oltre quindici, vent’anni e di tante altre più recenti legate a nuove compagnie teatrali, ha sviluppato un tessuto di esperienze diversificate fra loro; esperienze condotte da uomini e donne del teatro professionista italiano che sono andati a lavorare nelle carceri e non solo.
Questi percorsi hanno consentito una progressiva creazione di metodi d’intervento, stili, linguaggi inediti. È nato così qualcosa di nuovo, di completamente originale: un tipo di teatro fondato sull’ascolto dei luoghi in cui opera, sulle biografie delle persone coinvolte, sulla reinvenzione continua dei linguaggi della scena secondo i limiti dati dalle strutture e dalle condizioni eccezionali di questa particolare forma di lavoro teatrale. Spesso i limiti sono diventati armi vincenti. Spesso abbiamo visto forme teatrali fortemente intrecciate fra sperimentazione e tradizione scenica italiana e europea.
Un teatro che privilegia la scrittura scenica sia quando affronta testi o autori classici della cultura europea (da Don Chisciotte ad Alice, da Pinocchio a Shakespeare, da Genet a Eduardo De Filippo) che quando procede attraverso forme di autodrammaturgia.

Nelle carceri italiane è nato un teatro di scrittura scenica in forme fra loro differenziate: dalle case circondariali (dove è più difficile garantire continuità all’esperienza) alle case di reclusione, dalle carceri femminili ai minorili fino alle strutture psichiatrico giudiziarie si è cercato di coniugare l’utilità per i detenuti di queste esperienze laboratoriali e produttive con la creazione di un teatro di evidente valenza artistica e comunicativa. La “diversità” di queste esperienze rispetto al teatro istituzionalizzato non appare come una moda teatrale quanto come una condizione genetica che ci consente di delineare un ambito di lavoro teatrale (indirettamente anche educativo), una zona pratica della scena contemporanea, ricca di implicazioni sociali e civili.
Si tratta di un lavoro artistico – fatto di metodi artigianali e laboratoriali – che è, inevitabilmente ricco di ricadute sociali: nella dinamica fra il “dentro” e il “fuori” del carcere nel senso di ospitare spettatori nelle strutture carcerarie in occasione delle repliche, di andare a rappresentare nei teatri ufficiali gli spettacoli prodotti in carcere  ma anche – sia pure per una minoranza di ex-detenuti – di continuare a fare anche fuori dal carcere i mestieri del teatro (come attori e come tecnici).

In questo senso il teatro in carcere getta un ponte fra il “dentro” e il “fuori” degli istituti di pena e si colloca – nella logica originaria del teatro pubblico europeo quando ipotizzava e praticava l’idea di un teatro d’arte al servizio delle comunità, un servizio pubblico da svolgere con autonomia e libertà creativa. Non a caso il teatro in carcere adotta abitualmente tecniche e riferimenti artistici che guardano alle avanguardie artistiche del Novecento esprimendo una creazione teatrale che – attraverso l’invenzione della regia – usa lo spazio, il movimento, l’improvvisazione, il gesto vocale e corporeo. Un teatro che va oltre la prosa e che utilizza linguaggi nei quali le culture e le lingue possono incrociarsi, creando nuove alchimie sceniche. Il teatro in carcere appare come un’esperienza teatrale, insieme, popolare e di elevata qualità artistica.

Negli ultimi anni i processi sociali e le scelte culturali dell’Italia odierna rendono gli Istituti di pena soggetti ancora più deboli e in difficoltà strutturali anche per mancanza di fondi. I problemi sono i più vari:
1) sovraffollamento del carcere;
2) conseguente carenza di personale;
3) orientamenti e decisioni che spingono verso il rischio di un ritorno ad un carcere non rieducativo ma prettamente esecutivo della pena (con negazione di fatto della Legge Gozzini);
4) presenza sempre maggiore di detenuti non italiani (con evidenti problemi di povertà, difficoltà comunicative, etc.);
5) presenza sempre maggiore di giovani che per piccoli reati (ad esempio detenzione o piccolo spaccio di stupefacenti) riempiono le patrie galere e, purtroppo, spesso imparano il mestiere proprio in questo contesto.

In questo contesto e nell’attuale momento storico il teatro appare sempre più difficile, sempre più lontano quando non osteggiato dietro al paravento delle difficoltà economiche degli enti pubblici.
Per tutti questi motivi abbiamo voluto la creazione di un Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere capace di offrire progettazione, relazione, luoghi di confronto e di qualificazione del movimento teatrale sorto all’interno delle carceri italiane in questi anni.

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